La Nostra storia
Chi non ha un sogno nel cassetto alzi la mano! Ciascuno di noi ne ha uno o forse più. Si tratta di un’idea che prende forma e ci cattura quando, più o meno consapevolmente, apriamo quel cassetto e lasciamo vagare i pensieri in libertà.
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Il nostro sogno, mio e di Roberto era di avere un’osteria tutta nostra, che fosse lo specchio di come siamo; un angolo di mondo nel quale ricevere ospiti con semplicità e cordialità autentica. Poi, come fanno tutti, richiudevamo il cassetto dei sogni: io tornavo ad occuparmi del mio lavoro di insegnante e Robi si dedicava alla sua professione di geometra. Nelle fine settimana andavamo in giro per osterie ad apprezzare le cucine tradizionali confabulando tra noi di come avremmo voluto un’osteria, l’avremmo arredata, cosa avremmo cucinato e via dicendo.
Un giorno ,ci capitò sotto gli occhi un articolo di Davide Paolini: “L’osteria che non c’è”. Il noto Gastronauta descriveva le caratteristiche della sua osteria ideale. Da lì fu un tutt’uno. Il sogno non voleva stare più chiuso nel cassetto; sempre più spesso ci lasciavamo cullare dall’idea della nostra osteria con la voglia di rimetterci in gioco con amore e passione per un mondo a noi sconosciuto. -L’osteria avrà pochi posti- ci dicevamo- non metteremo cartelli sulla strada ad indicarla e neppure insegne luminose. Il menù? Pochi piatti, solo prodotti di stagione del territorio e le ricette saranno quelle di casa. In uno di quei giorni in cui il cassetto “ rimaneva spalancato ” arriva Robi e mi dice : “Vieni, ti porto a vedere dove nascerà la nostra osteria”.
Una casa in sasso quasi diroccata, abbandonata da cinquant’anni. Il prete di Pianetto voleva venderla perché stava crollando. Le sterpaglie la facevano da padrone insieme ai corvi del campanile e ai piccioni della chiesa. Il mio sgomento fu totale!
Poi, man mano che mi guardavo intorno e Robi mi chiedeva di usare la fantasia per immaginare come sarebbe stato il restauro, mi rendevo conto che quel luogo aveva un’anima bella, un fascino unico. Il profilo maestoso del campanile, le austere pareti in sasso della chiesa che si affaccia sul giardino, gli alberi di fico che non avevano ceduto il passo all’incuria del tempo, il giuggiolo abbarbicato al fianco della casa, il portone con il catenaccio che cigolava … che magia!! In paese era conosciuta come la casa della campanara perché l’ultima ad abitarla nel dopoguerra ,era stata una donna che manteneva i figli suonando le campane per il prete. Ecco allora “La Campanara”, questa è l’osteria che non c’era.